"fino a che non va a segno è tutto da giocare"

domenica 17 aprile 2011

Love makes more ruins than hate...


Mio nonno spesso ripeteva qualcosa che si potrebbe riassumere nel pay-off “Love makes more ruins than hate”. Rovine. Quasi tutte le storie d’amore con la “S” maiuscola hanno avuto l’aiuto della scenografia di qualche rovina, di qualche castello, di qualche arco, di qualche ponte. Tutte vicine all’acqua o sotto la neve o nel mezzo di un diluvio. Baglioni cantava “lungo il Tevere che andava lento lento”, Shakespeare si appellava ad un balcone, Rugantino lo visse attraverso le sbarre di un’antica prigione. In Toscana sono state ambientate lungo l’Arno, in Campania all’ombra del Vesuvio o sopra la collina di Posillipo, dall’alto di un precipizio della Costiera Amalfitana o su una spiaggia di quella Cilentana sotto lo sguardo millenario di qualche colonna greca. La Romagna ha i suoi falò sulla sabbia sottile dei lunghi lidi Adriatici e il Salento li vive anch'esso sul mare ma accompagnati da una brezza marina. La Sicilia ha i suoi templi a fare compagnia agli innamorati, diversamente scogli silenziosi che fanno da pretesto a contatti fugaci. La Liguria si appella ai suoi porti e alle mille storie che vi sono passate. Non da meno il Veneto che dell’acqua e delle pietre ha fatto il suo mito. E al termine di queste riflessioni mi sono domandata: laghi lombardi esclusi, Milano, che rovine fornisce come scenografia e supporto a giovani che volessero dichiararsi? E' davvero possibile che un Naviglio, una “Madunina” o un Arco delle torture abbiano lo stesso fascino? A quale “Ponentino”, a quale vista o suggestione possono affidarsi gli amanti milanesi? Sarà la percezione ovattata dell’infatuazione o qualche giardino nascosto a me ignoto ma, se ancora famiglie esistono a Milano, una location dovrà pur esserci per tali questioni. Diversamente si dovrebbe davvero, a malincuore, credere che sopra questa città, che ha dato inizio tanto male, sia da sempre regnato odio.