"fino a che non va a segno è tutto da giocare"

sabato 27 novembre 2010

Trasformazione, Terapia, Tesoro

“Quando potrò riaverlo?” “Quando dimenticherai di avermelo dato”.Time. Tempo. Tiempo. L’oggetto della celebre battuta di Autumn in New York era un orologio. Strano che nella maggior parte delle lingue europee la parola “tempo” inizi con una T. È tutto in quei due bastoncini che impattano. Tutto in una “T”. Quel momento in cui viene a galla tutto. Immateriale eppure così essenziale per la vita di chiunque. Ci lotti, perdi, lo perdi, lo detesti, ti manca, vuoi che passi, ci pensi… eppure è sempre lui. Ed è sempre in testa a tutto. Vale più dell’oro, più del petrolio ed è l’unica cosa contro cui nessuno può far nulla, nemmeno Dorian Grey. Nulla lo scalfisce o lo incatena: né potere, né ricchezza, né tanto meno la giovinezza. Tempo. Se va bene ti dà ragione, basta lasciarlo lavorare. Se va male dicono cancelli tutti i fallimenti. È di sicuro il contabile più fedele, ma anche l’investimento più rischioso. Completa puzzle e talvolta lascia uno spago a cui aggrapparsi. C’è chi vive solo in esso e chi cerca di proiettarsi oltre. Io? Io stasera semplicemente lo lascio fare, cercando di capire cosa di buono si possa trarre dalla sua corrente…

sabato 13 novembre 2010

“Champagne?” “No, grazie. L’uscita?”

Certe occorrenze sociali convenzionali sono un ottimo motivo per mettere un punto. Sì perché alle volte, un punto, ci vuole proprio. Te ne stai lì, sul tuo angolo di divanetto, che guardi passare guantiere di cibo standardizzato e vassoi di bicchieri e nel mentre mediti sulla vita. Sembra assurdo ma è terribilmente vero. Dal divanetto di un lounge bar all’ora dell’aperitivo credo si possano potenzialmente elaborare più bilanci di un commercialista a dicembre. Indossi il tuo più bel sorriso di plastica, o almeno quello meglio riuscito, e se l’interlocutore non è convincente, o è un collettivo, annuisci, sorridi e lanci qui e lì qualche intercalare: il gioco è fatto. Quanto passi per la testa è tutt’altro. Il bello è che lo spettacolo, ad osservarlo bene, è quasi sempre vario, quindi non si rischia la noia. Allora vedi il soggetto che non smette mai di parlare di sé stesso, con sommo tedio del mondo circostante, che, ovviamente, non nota neanche, preso com’è dal proprio ego. Poi c’è l’offeso, ovvero quello che sta lì, studia le aree di influenza, per qualche motivo non gli vai a genio, quindi cerca di evitarti dalla sua traiettoria visiva, mantenendo comunque il minimo di garbo prescritto dal viver civile. Ancora, c’è la chiacchera di circostanza: ha il ritmo di una suoneria del cellulare e solitamente anche la stessa durata. Spesso si accompagna alla scarsa conoscenza o, in alternativa, all’ipocrisia. Anche lo scrutatore è un soggetto abbastanza frequente in tali circostanze: ti guarda insistentemente, cercando nella memoria qualche appiglio per riconoscerti o, più semplicemente, qualche cenno che confermi la sua ipotesi, vera o presunta che sia. Nei casi migliori poi c’è l’amico. Quella persona che non vedi da tanto, per la quale il tempo può passare ma non intaccare nulla di quanto aveva costruito, quella con cui ti senti a casa, che non guarda come sei vestito, cos’ hai fatto, se sei adeguato alla circostanza: perché semplicemente ha piacere di vederti e del resto gliene importa poco. Dopo aver focalizzato tutte queste fattispecie tendenzialmente la soglia di resistenza è già vicina al limite, ma questo viene superato facilmente, innescando l’azione, alla vista, non improbabile, del rinnegatore. Questo momento, tipicamente, segna l’acme negativo della serata ma è foriero di una sensazione liberatoria: varcare la soglia dell’uscita sapendo di aver superato tutto il superabile. Ti trovi davanti a un soggetto che fino al giorno prima si definiva tuo amico e adesso, per qualche circostanza occorsa e contingente, finge di non conoscerti. Tale atteggiamento può oscillare in uno spettro di possibilità che spazia dal saluto imbastito, come se l’avessi sorpreso sul wc aprendo inavvertitamente la porta, passando per il sorriso da courtesy staff, per finire con la finta distrazione, altamente sconsigliata poiché istrionicamente difficile da sostenere. Davanti a questo soggetto il pensiero più frequente, secondo dati attendibili riportati dal sondaggio delle arachidi, è “ma va’ a cagare” seguito da attributi o apposizioni varie. Ma in fin dei conti se persino Cristo è stato rinnegato tre volte da S.Pietro un umano non è nessuno per guadagnarsene di meno. Qualcuno in passato mi diede un saggio consiglio: osservare il mondo tenendo in mente che talvolta “what you see is what you get”. Con questo mantra nella mente allora ti alzi, perché hai visto abbastanza, saluti con gesti sentiti, o alla peggio con altri sorrisi di plastica, e cerchi di prendere il meglio di quello che hai visto: il tuo bilancio per fare una cernita e lasciare spazio al meglio, lasciando che il peggio sia portato via con gli avanzi dell’insalata russa. What you see is what you get. “Signorina, beve?” “No, grazie (sorriso). Mi scusi, l’uscita?”.