"fino a che non va a segno è tutto da giocare"

sabato 21 maggio 2011

Last request? Una camomilla, grazie...


 
“Rallenta e distenditi, ricorda che siamo solo io e te”. Secondo uno strano preconcetto siamo portati a credere che Paolo Nutini, in questa canzone, si rivolgesse ad una donna. E perché non alla propria anima? Quante volte avete rivolto a voi stessi le medesime parole prima di addormentarvi? Un monologo. One man show. Perché no? Momenti di scelte e cambiamenti, il cuscino come un’allettante prospettiva e al contempo come un macigno. Potreste svenire dal sonno ma qualcosa, come dei rumori di sottofondo, ronzano nella vostra mente e vi fanno sembrare piuttosto simili ad un’upupa collassata su un materasso. Lì, con la luce soffusa di qualche lampione che filtra attraverso la vostra finestra, percependo vagamente la discussione che si sta svolgendo in strada (perché anche in piena notte, per strada, c’è sempre qualcuno che ha voglia di discutere alle ore più impensabili e per i motivi più assurdi e insensati) lì, con voi stessi, improvvisate discorsi degni di un autore teatrale. In preda all’insonnia constatate persino, talvolta, di essere più simpatici, auto-ironici, passionali e perspicaci dell’altra vita alla luce del sole. “Sì, dai, domani si risolve tutto, ora mettiti a dormire e scrollatelo dalle spalle”. E lo stomaco si risveglia, facendovi presente di essere a secco da troppe ore dall’ultimo pasto. “Ok, alla luce del Sole tutto apparirà più chiaro. Come dice la nonna, se si chiude una porta si apre un portone”. E il fianco su cui siete coricati diventa scomodo. Meglio cambiare lato. “Oh, alla peggio, tanti cari saluti, anche se non porta a nulla sarà stata un’esperienza”. Le occhiaie iniziano a pulsare, gli occhi attuano tutte le tecniche fisiologiche in loro possesso per ribellarsi, le vene pompano il sangue a mo’ di cartello a intermittenza che cita “Dormi, diamine, dormi! Basta con le pippas mentali!”. Quando le lancette cominciano a crescere, nella vostra mente, il rumore di sottofondo è ormai diventato una sirena dei pompieri, nonché uno scomodissimo compagno di letto. Ormai siete talmente svegli che avrebbe quasi senso uscire a fare una passeggiata. Il giorno seguente, un pronostico piuttosto affidabile quoterebbe cattivo umore, istinti distruttivi nei confronti di congegni tecnici con funzioni di allarme sveglia, barili di caffeina a carico (perché siamo tutti un po’ Mary Shelley dentro, quindi non essendo sufficiente una notte, vogliamo creare il bis per la sera a venire, vero?), chili di correttore, amnesia prematura, un caos pari all’istante seguito al big bang ma, soprattutto, zero soluzioni o risoluzioni talmente banali da poter essere confuse con i consigli sulla scatola dei cereali che, per il bruciore di stomaco, quella mattina, potreste non aver mangiato.
Alla luce di questo breve sproloquio, siete ancora convinti che il caro Paolo si rivolgesse a una donna? Ma, soprattutto, vi sorprendete che poco dopo abbia scritto una canzone dal titolo “new shoes”?

mercoledì 11 maggio 2011

Va tutto bene...

“È stato facile, non lo è stato mai”. Negare, negare, fortissimamente negare. Nascondersi dietro l’evidenza per negare che siamo fragili esseri sociali, sensibili alle relazioni che instauriamo e alle onde emotive che ad esse conseguono. L’equivalente del “va tutto bene” mentre tutto sta finendo in frantumi. La circostanza curiosa è che coloro che pronunciano queste parole il più delle volte sono realmente convinti delle proprie affermazioni. Gli psicologi la definirebbero “fase della negazione”. Negazione di cosa poi? Di essere esseri umani e di innalzare barriere a nostra difesa? La stessa fisica postula che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Partendo da tale presupposto, è da condannare in maniera tanto severa chi, per preservarsi, cerca di affrontare onde d’urto meno violente, affermando, per quanto possibile, che “va tutto bene”?

domenica 8 maggio 2011

Profonde comete fugaci


Non è il quanto ma il come. Vi siete mai chiesti perché talvolta le parole di uno sconosciuto o di un conoscente sono più folgoranti di quelle pronunciate dalle persone che ci vivono accanto? Visione d’insieme, caso, sano egoismo o cinismo sdoganato. Forse un po’ di tutto ciò alla base dell'attenzione che concediamo a questi soggetti. Siete su un treno, sul vostro scomodo seggiolino impolverato, mal imbottito, e la frase del vostro chiassoso vicino di viaggio che parla al cellulare si rivela la chiave per risolvere una situazione in cui siete impantanati da tempo. Oppure in coda al supermercato, con le ruote del carrello del cliente retrostante che vi solleticano le calcagna. Lì, tra puzza di sudore e minuti interminabili un sorriso inatteso, una piccola gentilezza o una mezza frase vi cambiano la giornata.
Poi ci sono quelle persone che non conoscete, o che conoscete a mala pena, che hanno inconsapevolmente fatto molto per voi, cui siete affezionati senza saperne il perché. Affermazioni, queste mie, etichettabili da taluni come pressapochiste, tuttavia, credo che sia proprio in quest’ultima categoria di rapporti, nelle profonde amicizie fugaci, che sia inespresso il germe poi sviluppato dall’amicizia, come se ne fosse il concentrato della vera essenza. Senza parole, senza certezze: così si sviluppano questi rapporti. È solo una questione di fiducia e di pelle, che alla fine delle elucubrazioni mentali sono quegl’input che ci spingono verso gli amici nel momento del bisogno, nel momento dell’emozione.
Del resto le stesse stelle, per quanto solide, stabili e affidabili da secoli, solo in determinate circostanze sono visibili e catturano la nosta attenzione mentre le comete, passeggere e fatue, ci lasciano sempre con in naso in su, gli occhi spalancati e qualcosa da ricordare.