"fino a che non va a segno è tutto da giocare"

martedì 25 gennaio 2011

L'uomo nero è nascosto nel box doccia...

Avete presente la sensazione che si prova uscendo dalla doccia? Quel vapore acqueo che pervade tutto il bagno, crea la condensa davanti allo specchio e lascia soltanto intravedere il profilo del lavandino? Alzi la mano chi nella vita non si è mai sentito così. Quei giorni in cui il mondo è ovattato e la mente è confusa. Quei giorni in cui un attimo prima quello che si è deciso sembra la cosa più corretta e l’attimo dopo la cosa più sbagliata. Non sono segni di bipolarismo, come i più simpatici potrebbero pensare, non sono nemmeno segni di confusione: quella si chiama paura. Quella paura che è al contempo il segno e l’essenza della sua pronuncia. Sono i giorni in cui il pantalone sembra stretto anche se è largo di due taglie, in cui non ci piace più il sapore del nostro dentifricio, in cui vorremmo spegnere il cellulare o, al contrario, vorremmo che suonasse. Sono i giorni in cui il nostro Es sembra battere il coperchio della botola per accedere prepotentemente all’Io e prendere a calci nel sedere il super Io. La paura spinge una civiltà, una cultura, il mondo. Se non esistesse sarebbe una tragedia per l’economia mondiale, tutta la filiera si smantellerebbe. Niente paura, niente adrenalina. Niente adrenalina niente persone agitate, euforiche, iperattive, niente droghe, niente alcool, niente mibuttogiùdaunfuoripistavediamo che succede, niente assicurazioni, niente industrie della truffa, niente industria dell’intrattenimento o, per essere chiari e sintetici, niente industria e basta. Niente sport, niente cinema, niente vestitini, creme e cosmetici. Niente innamoramento, niente amore, niente depressione o rabbia. Forse qualche opera umanitaria. Per il resto niente di niente. Nemmeno il cibo perché senza paura di morire di fame, morte di fame senza preoccupazioni. Passiamo la vita a pararci dalle preoccupazioni, alcuni a ponderare, altri a fingere di non temere mentre si buttano nella vita, per poi provare, tutti, presto o tardi, paura. La cosa più brutta della paura è che quando provi paura sei assolutamente da solo. Tutte quelle storie che raccontano sullo sdrammatizzare, sull’affrontare e condividere le paure perché serve, sul metterle per iscritto perché faranno meno paura: sono cazzate. Sicuramente sono utili. Ma sono cazzate. Provate a convincere un bambino di tre anni che l’uomo nero non esiste, che non ha le sembianze dell’alieno del film che ha visto di nascosto dalla madre, che non lo mangerà e che non si trova sotto al letto. Buona fortuna. Dategli torto. Ognuno sente la paura nel proprio corpo. La paura vive con il proprio respiro, risiede nei propri pensieri. È l’umidità che esce con voi dalla doccia e che vi accompagna finché non siete asciutti. C’è solo un modo per farla passare: aprire una presa d’aria. Grande quanto volete: un balcone, una porta, una finestra, un aspiratore. Deviare i pensieri. La nebbia, fuori, risolverà la condensa. La nebbia schiarirà i vostri pensieri.

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