"fino a che non va a segno è tutto da giocare"

venerdì 30 settembre 2011

The T-shirts don't fit anymore...

Alcuni le chiamano regressioni. Altri invece fughe dalla realtà. Gli psicologi le definirebbero forse come “valvole di sfogo” per il cervello. 
Fatto sta che per quasi tutti gli esseri viventi di sesso femminile (e non) giunge quel momento in cui, guardandosi vagamente allo specchio, s’improvvisano improbabili karaoke in playback, shakerandosi in un movimento sgraziato che potrebbe, vagamente, assomigliare all’atto del ballare. 
In quel momento si hanno due anni. 
O forse, in quel momento, si è capita l’essenza della vita. 
In fin dei conti, tutti i problemi vengono relativizzati se posti a confronto con problemi più grandi. Come quando al liceo l’interrogazione appare un dramma esistenziale e, in seguito, una cazzata planetaria una volta giunti nel mondo degli adulti e, magari, del lavoro. 
Relativizzare.
Allo stesso modo, è solo quando la musica solletica i timpani da confondere i pensieri che si potrà distintamente sentire il rumore che fa l’anima. 
In quel momento, con i battiti che rombano nelle orecchie, forse, solo allora, si riuscirà a non raccontare cazzate alla parte razionale di noi stessi. In quella cascata di felicità e malinconia si sarà forse realmente sinceri. In quel caos si potrà ascoltare.
Un famoso film suggeriva di ballare ad occhi chiusi saltando con un braccio teso in aria.
Sono momenti che si vivono e basta. In silenzio. In solitudine. Con un retrogusto di vergogna. S’intuiscono ma non si condividono apertamente.
È come la maglietta preferita dell’adolescenza: vecchia, bucata e stinta ma che non si ha il coraggio di buttare perché ricorda bei momenti e aspettative in seguito relativizzate.
Rovistando nell’armadio stasera l’ho ritrovata. 
L’ho indossata di nuovo. 
Era corta: ma sapeva di buono.

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