“Chi non risica non rosica” “Lo que no corre se recorre” “Chi mangia fa briciole”. Questi solo alcuni dei luoghi comuni che mi sono stati rivolti nelle ultime due settimane. E non si sa perché, tali commenti avevano sempre e comunque un ‘non so che’ di riferimento e velato commento circa la mia condotta. Un modo carino per dire “sei una gentilissima scassamaroni ma ti vogliamo bene lo stesso. Insomma: prima o poi ti stancherai anche tu, ti placherai e tornerai nei ranghi”.
Io, invece, sono circa due settimane che mi
ripeto che “Voglio morì col dubbio”. Che cosa voglia dire “voglio morì col
dubbio”? Significa che realmente mi auguro di spirare con in gola, come un
colpo nella canna di una pistola, una domanda: le corde vocali che si muovono
cercando di sollevare l’ennesima, magari cazzata, o forse questione vitale.
Adesso qualcuno, di grazia, mi spieghi che
diamine ti rimane da vivere se sulla soglia dei trent’anni ti sei dato tutte le
risposte o ti sei appiattito a tutte le richieste del vivere comune.
La Mulino Bianco forse saprebbe rispondermi
ma temo sia meglio continui a fare i biscotti e a crescere famiglie nella
sterpaia, che, appunto, restano ‘miti’ e poco hanno a che fare con il reale.
Infatti, trovatemi un trentenne (esclusi piloti, calciatori, ereditieri e
narcotrafficanti. ndr.) che oggigiorno guadagni tanto da poter mantenere un
mulino, da aver figliato per quattro e
da potersene fregare del prezzo del gasolio per raggiungere la civiltà
dall’idillio. Ma, soprattutto, trovatemi un trentenne che, come sostiene un mio
caro consigliere, intrapresa l’ipotesi Mulino Bianco non trovi un
amico che, paratoglisi davanti, dica “Ma che sei pazzo??? Esci da questo corpo!!!”.
Adesso, posto che la famiglia Mulino Bianco
non esiste, posto che la generazione “Ultimo Bacio” sta dando i migliori frutti
della sua epoca, qualcuno mi dovrebbe spiegare: perché fingere risposte serie e
appiattirsi a crismi societari se poi si devono fare cazzate? Ma, soprattutto,
per quale motivo se nessuno, di fatto, in questo caro mondo, rispetta più i
crismi sociali, Muccino docet, perché le ragazze, però, sono rimaste sempre quelle povere sfigate per le quali, superata una certa soglia di età: o ti accasi o se non lo fai
-
o sei zoccola
-
o sei zitella
-
o entrambe
-
o qualche problema ce l’hai
Orologio biologico? Cazzate. Bisogno di
protezione? Cazzate. Sicurezza? Cazzate. La parola esatta è ABITUDINE. Ci si
abitua a piccoli rituali rassicuranti, allo stesso odore, alla smorfia che fa
chi ci sta accanto la mattina quando si sveglia. Ci si abitua a conoscere le
abitudini alimentari e comportamentali del nostro vicino, l’orario del
messaggio della buonanotte e la voce impostata che cercherà di mantenere al
telefono se sarà in sbornia. Ci si abitua. E lasciare l’abitudine fa paura: allora
questa fuga dall'incertezza, a un certo punto, meglio renderla legale.
Ma questo non è amore. Questa è comodità.
Questo il più delle volte non è un percorso: è un accontentarsi.
E ventisette anni sono troppo pochi per
accontentarsi.
Anche trenta lo sono.
Forse anche trentacinque.
Le persone, però, sempre più spesso si
accontentano, si abituano e poi sbattono la capoccia per la prima cosa diversa
che gli passa sotto al naso.
Allora non domandatevi il perché della
crescita esponenziale dei divorzi in Italia.
Qualcuno mi ha lasciato un’immagine stupenda,
spero non me ne voglia, ma la riporto anche a voi. Un rapporto d’amore è come
vedere le scie di due moto che salgono su una collina percorrendo delle curve.
I due piloti sanno solamente che sono abbastanza vicini da sentirsi ma
abbastanza lontani da non danneggiarsi. Le persone che stanno a valle, però,
possono esattamente vederli in parallelo che salgono. Non c’è uno dei due
troppo avanti, non c’è uno che sta dietro, salgono in parallelo superando le
curve.
Attorno a me vedo molti attori di biscotti e
pochi piloti. I piloti si riconoscono lontano un miglio, hanno la luce negli
occhi, la calma nella voce, la sicurezza di chi sa che qualora dovesse cadere
in pochi secondi qualcun altro si fermerà, abbasserà il cavalletto e arriverà a
soccorrerli. Probabilmente, anche in mezzo alle lacrime di dolore e allo
spavento, troveranno il modo e la forza per ridere. Gli attori, invece, sono
nervosi, insicuri e temono l’abbandono. Si nascondono se sbagliano e piuttosto
che mostrare un proprio errore scappano, o peggio, negano. Le loro litigate saranno
epiche, la luce del loro legame brucerà veloce come un fuoco d’artificio in una
vasca di ghiaccio per lo champagne.
Quindi, a chi da oggi in poi mi farà domande
sulla mia vita, risponderò che “voglio morì col dubbio”. Fosse anche il dubbio
supremo di tutti gli innamorati, quel ‘ma tu, mi ami?’ perché vorrà dire che
per una vita ho cercato e mi sono circondata di persone in grado di darmi
risposte, magari farmi domande, ma di certo persone in grado di non a farmi
spegnere a tal punto da non aver domande da fare e risate da non respirare.
Io? Io “voglio morì col dubbio”.
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