"fino a che non va a segno è tutto da giocare"

martedì 15 maggio 2012

Io? Io voglio morì col dubbio...



“Chi non risica non rosica” “Lo que no corre se recorre” “Chi mangia fa briciole”. Questi solo alcuni dei luoghi comuni che mi sono stati rivolti nelle ultime due settimane. E non si sa perché, tali commenti avevano sempre e comunque un ‘non so che’ di riferimento e velato commento circa la mia condotta. Un modo carino per dire “sei una gentilissima scassamaroni ma ti vogliamo bene lo stesso. Insomma: prima o poi ti stancherai anche tu, ti placherai e tornerai nei ranghi”.
Io, invece, sono circa due settimane che mi ripeto che “Voglio morì col dubbio”. Che cosa voglia dire “voglio morì col dubbio”? Significa che realmente mi auguro di spirare con in gola, come un colpo nella canna di una pistola, una domanda: le corde vocali che si muovono cercando di sollevare l’ennesima, magari cazzata, o forse questione vitale.
Adesso qualcuno, di grazia, mi spieghi che diamine ti rimane da vivere se sulla soglia dei trent’anni ti sei dato tutte le risposte o ti sei appiattito a tutte le richieste del vivere comune.
La Mulino Bianco forse saprebbe rispondermi ma temo sia meglio continui a fare i biscotti e a crescere famiglie nella sterpaia, che, appunto, restano ‘miti’ e poco hanno a che fare con il reale. Infatti, trovatemi un trentenne (esclusi piloti, calciatori, ereditieri e narcotrafficanti. ndr.) che oggigiorno guadagni tanto da poter mantenere un mulino, da aver figliato per quattro e  da potersene fregare del prezzo del gasolio per raggiungere la civiltà dall’idillio. Ma, soprattutto, trovatemi un trentenne che, come sostiene un mio caro consigliere, intrapresa l’ipotesi Mulino Bianco non trovi un amico che, paratoglisi davanti, dica “Ma che sei pazzo??? Esci da questo corpo!!!”.
Adesso, posto che la famiglia Mulino Bianco non esiste, posto che la generazione “Ultimo Bacio” sta dando i migliori frutti della sua epoca, qualcuno mi dovrebbe spiegare: perché fingere risposte serie e appiattirsi a crismi societari se poi si devono fare cazzate? Ma, soprattutto, per quale motivo se nessuno, di fatto, in questo caro mondo, rispetta più i crismi sociali, Muccino docet, perché le ragazze, però, sono rimaste sempre quelle povere sfigate per le quali, superata una certa soglia di età: o ti accasi o se non lo fai
-       o sei zoccola
-       o sei zitella
-       o entrambe
-       o qualche problema ce l’hai

Orologio biologico? Cazzate. Bisogno di protezione? Cazzate. Sicurezza? Cazzate. La parola esatta è ABITUDINE. Ci si abitua a piccoli rituali rassicuranti, allo stesso odore, alla smorfia che fa chi ci sta accanto la mattina quando si sveglia. Ci si abitua a conoscere le abitudini alimentari e comportamentali del nostro vicino, l’orario del messaggio della buonanotte e la voce impostata che cercherà di mantenere al telefono se sarà in sbornia. Ci si abitua. E lasciare l’abitudine fa paura: allora questa fuga dall'incertezza, a un certo punto, meglio renderla legale.
Ma questo non è amore. Questa è comodità. Questo il più delle volte non è un percorso: è un accontentarsi.
E ventisette anni sono troppo pochi per accontentarsi.
Anche trenta lo sono.
Forse anche trentacinque.
Le persone, però, sempre più spesso si accontentano, si abituano e poi sbattono la capoccia per la prima cosa diversa che gli passa sotto al naso.
Allora non domandatevi il perché della crescita esponenziale dei divorzi in Italia.
Qualcuno mi ha lasciato un’immagine stupenda, spero non me ne voglia, ma la riporto anche a voi. Un rapporto d’amore è come vedere le scie di due moto che salgono su una collina percorrendo delle curve. I due piloti sanno solamente che sono abbastanza vicini da sentirsi ma abbastanza lontani da non danneggiarsi. Le persone che stanno a valle, però, possono esattamente vederli in parallelo che salgono. Non c’è uno dei due troppo avanti, non c’è uno che sta dietro, salgono in parallelo superando le curve.
Attorno a me vedo molti attori di biscotti e pochi piloti. I piloti si riconoscono lontano un miglio, hanno la luce negli occhi, la calma nella voce, la sicurezza di chi sa che qualora dovesse cadere in pochi secondi qualcun altro si fermerà, abbasserà il cavalletto e arriverà a soccorrerli. Probabilmente, anche in mezzo alle lacrime di dolore e allo spavento, troveranno il modo e la forza per ridere. Gli attori, invece, sono nervosi, insicuri e temono l’abbandono. Si nascondono se sbagliano e piuttosto che mostrare un proprio errore scappano, o peggio, negano. Le loro litigate saranno epiche, la luce del loro legame brucerà veloce come un fuoco d’artificio in una vasca di ghiaccio per lo champagne.
Quindi, a chi da oggi in poi mi farà domande sulla mia vita, risponderò che “voglio morì col dubbio”. Fosse anche il dubbio supremo di tutti gli innamorati, quel ‘ma tu, mi ami?’ perché vorrà dire che per una vita ho cercato e mi sono circondata di persone in grado di darmi risposte, magari farmi domande, ma di certo persone in grado di non a farmi spegnere a tal punto da non aver domande da fare e risate da non respirare.
Io? Io “voglio morì col dubbio”.

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