"fino a che non va a segno è tutto da giocare"

martedì 21 dicembre 2010

Illuminazioni odontoiatriche tra il caricatore ed i calzini.

Fuori il ghiaccio, qui le luci made in PRC che riescono comunque a dare l’atmosfera che qualcosa è cambiato da qualche settimana fa’. Valigie aperte e appunti sparsi su post-it sembrano essere stati rigurgitati dalle mattonelle del pavimento. Se non si trattasse di una partenza sarei propensa a pensare ad un’esplosione atomica davanti a questo scenario. Mentre John canta nelle mie orecchie alternandosi a Ben i miei pensieri decidono di fare ricreazione, ostinandosi ad allontanarsi dalla concentrazione cui dovrebbero applicarsi: almeno per evitarmi l’imbarazzo all’aereoporto di dover comunicare a mia madre che, avendo una figlia rincoglionita, dovrà acquistare l’ennesimo spazzolino che ingrasserà la collezione degli spazzolini “Christmas limted edition”. Durano le vacanze di Natale e, puntualmente, l’anno successivo nessuno ne ricorda la paternità: relegati sotto l’etichetta “no man land” diventano colorato arredamento del bagno o al massimo strumento per estemporanei attacchi di arte di qualche nipote. I bagagli sono il momento che più detesto delle partenze. Incominci a farli sapendo sempre che, per quanto ti possa applicare, qualcosa sarà dimenticato a casa. Per certo avrai portato tutto il superfluo: ma puoi scommetterci il biglietto di viaggio che qualcosa di assolutamente essenziale e banale l’hai dimenticata a casa. Non per forza si deve trattare di qualcosa di materiale. Talvolta può anche trattarsi della mente, del buon umore che le persone all’aeroporto si aspettano da te o, più semplicemente, della voglia di prendere con il mood giusto il viaggio. Ultimamente io mi sono specializzata nei pensieri lasciati in sospeso. È come se, chiudendo il portone di casa, lasciassi dei panni appesi che sono qui ad accogliermi al mio ritorno, esattamente uguali a come li ho lasciati, magari solo un pò impolverati. Qualcosa a metà tra un fantasma e un salvadanaio. Però mi guastano terribilmente l’umore. Adoro viaggiare ma ritrovarli lì al mio ritorno svilisce il viaggio. Qualunque viaggio presupporrebbe una crescita, un miglioramento, un cambiamento. Ritrovare certi pensieri ancora appesi riaprendo la porta di casa fa sì che alcuni viaggi si mascherino da fuga: e che qualcosa svilisca o discrediti il viaggiare mi manda in bestia. Stasera, chiudendo le valigie, il pensiero è andato a quei miei amici che le valigie non le chiudono più, ma che ovunque io vada porto sempre nella mia. Anche se si tratta semplicemente di un beauty case. Solo in quel momento forse ho davvero realizzato quella cosa banale, eppure strettamente essenziale, che dimenticavo a casa. Al diavolo il limite di peso in aereoporto. Che si arrangi il controllo dei liquidi. E con lui la gabbietta infernale in cui inserire il bagaglio a mano. Facciano come gli pare anche le macchinette self-ticket. L’unica cosa che mi serve è proprio quello spazzolino che ogni anno dimentico a casa. E che dimenticherò sicuramente anche quest’anno. Quello che mi serve è proprio arrivare all’aereoporto, vedere la faccia sorridente e rassegnata di mia madre alla notizia ed andare a comprarlo in quel piccolo negozio sopravvissuto alla GDO, dallo stesso commesso, ogni anno più vecchio, facendo scegliere il colore a mio nipote, ogni anno più grande. L’essenziale è la meta e le emozioni che si provano nel cercare di raggiungerla. Magari quest’anno dimentico tutto il resto ma mi ricordo di essere una viaggiatrice.

Ps: Resti chiaro che... se mi toccano il bagaglio… scatta la class action...

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