"fino a che non va a segno è tutto da giocare"

martedì 22 febbraio 2011

Snapshot

Coincidenze, associazioni mentali, allineamenti astrali. Chiamateli come vi pare. Vi è mai capitato di vedere qualcosa ed avere un flashback? Ricordare esattamente il momento, il giorno, l’ora, la riga e le parole? Alcuni la chiamano memoria fotografica. Io preferisco la definizione “qualcosa che ti ha segnato”. Una settimana fa, nero su bianco, un nome che aggancia qualche sensazione familiare. Una frase che riecheggia nella mente. Via, su Google, a cercare la provenienza di quelle parole che danzano nel cervello insistenti ed imperturbabili. Poi tutto torna: Hanif Kureishi, Goodbye mother, la piccola libreria del corso, i sanpietrini, le case basse, il freddo invernale e l’attesa di qualcuno o di qualcosa che oggi nemmeno contano più. La ricerca di un riparo, il bighellonare tra mille titoli, i conti con il tempo, il profumo della carta stampata di fresco e quel titolo banale ma magnetico su una copertina lilla e salmone. La copia di allora se la sono portata via quel qualcuno e quel qualcosa che oggi nemmeno contano più. A me ieri è arrivata la nuova, da qualche avanzo di magazzino a prezzo scontato, dopo una settimana di attesa. Aprendola, dopo dieci anni, ho ritrovato quelle parole, esattamente dove le ricordavo, come una Polaroid:
“Se pensi sia difficile trattare con i vivi, sappi che con i morti può essere anche peggio.” 
“[…] gli avevano insegnato che le donne vogliono fuggire. Se non potevano fuggire, ti odiavano per averle costrette a rimanere.” 
“Fu allora che capì che non si odiano le persone più terribili, ma quelle che ci confondono di più.”.
Per queste tre massime credo che le 12.000 lire di allora siano state un ottimo investimento. 
Grazie Hanif.

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